Caroline Caporossi

Una storia di migrazione
Era luglio 2019, stavo camminando per andare a lavoro attraversando via dei Servi, e come ogni altro giorno, ho salutato la giovane donna che incontravo sempre all’angolo, sempre con un sorriso.
“Hello!”
Dal primo momento in cui ho scoperto che io ed Ella eravamo entrambe appena arrivate a Modena, entrambe parlanti inglese ed entrambe ventiseienni, mi sentivo un po’ più a casa, anche solo al pensiero che ci saremmo viste, anche solo per un minuto, al principio di ogni giornata.
Con il tempo, i nostri fugaci saluti si sono trasformati in conversazioni, e abbiamo iniziato a conoscerci meglio. Lei ha condiviso con me la sua storia, aveva lasciato la sua casa in Nigeria con la speranza di diventare la prima donna nella sua famiglia a lavorare, ma dopo tre anni e numerose battaglie, non era ancora riuscita a realizzare il suo sogno.
Mi sono quindi fermata a riflettere riguardo la mia storia familiare, io stessa ero pronipote di immigrati italiani che avevano lasciato il proprio paese in Calabria distrutto dal terremoto per imbarcarsi per New York, con speranze simili a quelle di Ella per un futuro migliore.
I loro primi anni in America non furono facili, far fronte alla discriminazione, al fatto che ai propri figli non sarebbe stata insegnata la loro lingua madre, ecc. ma dopo due generazioni, la loro figlia minore (l’ultima di dodici figli),mia nonna, è stata la prima in famiglia a laurearsi all’università, e sentendosi dire al suo primo lavoro “Sei abbastanza brava.. per essere italiana.”
Da sempre, da quando siamo nati, per me e i miei cugini l’unico vero legame alla nostra eredità culturale (a parte la carnagione olivastra) trasmesso da nostra nonna riguardava il cibo.
Ogni domenica, preparava il sugo con le polpette, una tradizione che aveva imparato guardando sua sorella maggiore, la quale aveva imparato guardando sua madre, Rosa, immigrata italiana di prima generazione.
E tre generazioni dopo, mi ritrovo in Italia, alle radici della mia eredità, di fronte a un’altra giovane donna che, con un estremo atto di coraggio, inizia la sua storia di migrazione della propria famiglia.
Obiettivo: aiutare Ella a trovare lavoro.
Aiutare Ella era diventato il mio obiettivo personale. Vedevo chiaramente una giovane donna che come me aveva del potenziale, ma con l’aggiunta di grinta e motivazione, che solo qualcuno che è arrivato da così lontano e ha fatto così tanti sacrifici può avere.
In quel momento stavo lavorando per Food for Soul, un’associazione no profit fondata da Massimo Bottura, motivo per il quale il mio mondo in quel periodo era circondato da chef e ristoratori e sapevo ci fossero molteplici posizioni disponibili per apprendisti.
Ella è stata assunta nel giro di una settimana.
Scoprendo opportunità
Nei mesi successivi, ho continuato a supportare Ella con tutto il necessario post
assunzione, che si è dimostrato essere tanto, in termini di lavoro.
Quando era l’ora di rivedere un contratto facevo del mio meglio per trasmetterle ciò che il mio fidanzato italiano aveva cercato di insegnarmi mesi prima e quando era il momento di rivedere le buste paga, cercavo di districarmi con l’aiuto di google translate.
Insieme io e Ella cercavamo di risolvere tutto. Ci facevamo forza l’una con l’altra.
È in quel momento che ho iniziato a pensare che sarebbe stato incredibile connettere donne disoccupate con posizioni di lavoro disponibili, ma insostenibile in termini di organizzazione senza una struttura adeguata. Quello di cui avevamo davvero bisogno era un programma che aiutasse le donne ad acquisire competenze ed esperienze necessarie a raggiungere posizioni gratificanti e allo stesso tempo le preparasse al contesto culturale, legale e finanziario del mondo del lavoro in Italia.
In quel periodo, ho invitato Ella e il suo nuovo fidanzato a preparare una cena nigeriana a casa mia. Come persona che è cresciuta festeggiando ogni compleanno in ristoranti messicani negli Stati Uniti, mi mancavano moltissimo i sapori internazionali qui a Modena, così ho pensato che sarebbe stata l’occasione perfetta per passare del tempo con Ella e imparare qualcosa riguardo la sua cultura. Quella sera la mia cucina era piena di okra, igname, fufu, malto, e altri ingredienti colorati che mi erano completamente sconosciuti. Io (totalmente incapace in cucina) guardavo meravigliata come due giovani senza nessuna formazione culinaria potessero essere in grado di preparare un tale capolavoro.

Potremmo aprire un ristorante?
Fin dal primo giorno di lavoro a Food for Soul, volevo essere nella squadra di Jessica Rosval. Mentre facevo il tour dell’Osteria Francescana, Jessica mi ha fermato e si è subito presentata dicendo “Se hai bisogno di qualcosa non esitare, benvenuta nella squadra.”
Siamo diventate subito amiche e io ascoltavo con stupore le sue storie di come era arrivata a Modena dal Canada, non parlando una parola di italiano ma promettendo durante il suo primo giorno nella cucina di Massimo Bottura che sarebbe diventata fluente in italiano entro l’anno.
Negli anni abbiamo organizzato brunch a casa di entrambe, abbiamo iniziato un rito annuale per festeggiare il giorno del Ringraziamento americano e in questi momenti di condivisione discusso appassionatamente di questioni legate alle donne.
Durante uno dei tanti aperitivi, quando le ho raccontato di Ella e le ho chiesto di sviluppare insieme un’impresa sociale con programma di formazione culinaria e ristorante, in pochi minuti era già presa dalla proposta e stava abbozzando il primo programma.

Così abbiamo fondato una no profit
Portavo con me le bozze dei nostri piani e le condividevo prima del lavoro e durante la pausa pranzo con chiunque mi venisse in mente. I servizi sociali, la Caritas, l’università locale, i membri del comune, tutti coloro che sembravano vedere il vero valore del progetto ed erano interessati non solo ad ascoltare, ma anche ad aiutare.
Avevo reclutato tutti i miei amici che hanno fornito consigli preziosi per trasformare l’organizzazione in qualcosa di concreto, ed immediatamente è venuta fuori “The Association for the Integration of Women” (L'associazione per l'integrazione delle donne), la cui missione sarebbe stata quella di fornire risorse alle donne per mettere radici e rifiorire.
Era finalmente il momento di immergersi in questione legali più complesse, un ambito in cui nessuno di noi aveva esperienza. E proprio a quel punto ho incontrato Maria Assunta Ioele. Ci siamo viste per un caffè e sono subito rimasta attratta dalla vivace donna calabrese trasferita a Modena, avvocata (capo del suo studio), per nulla spaventata da grandi progetti e temi stretti. Si è messa subito al lavoro e in poche settimane stavamo scrivendo lo statuto di AIW, aprendo il nostro conto in banca e pronti ad uscire allo scoperto.
Un progetto in quarantena
Mentre la quarantena rinchiudeva tutti in casa, AIW era in pieno sviluppo. Avevamo un programma formativo, i servizi sociali ci avevano messo in contatto con le prime quattro donne che sarebbero diventate le nostre tirocinanti e la Caritas modenese si era persino offerta di ospitare gratuitamente il primo programma nel loro centro comunitario "Centro Papa Francesco".
C'era solo un piccolo problema: il paese era in completo isolamento. Non potevamo lavorare in cucina. Non potevamo lasciare legalmente le nostre case.
Nel frattempo, intorno a noi, il bisogno era più forte che mai: le donne perdevano il proprio impiego, i contratti venivano terminati e le famiglie di immigrati erano particolarmente a rischio. Sapevamo di dover fare qualcosa, e così siamo tornati a progettare.

Cucire Insieme
Durante gli incontri dei mesi precedenti alla quarantena con le donne migranti, una cosa continuava a venir fuori quando si parlava di competenze e interessi: il cucito. Sembrava che molte donne avessero abilità professionali o amatoriali da sarte e quelli erano i giorni in cui le mascherine fatte in casa spuntavano da ogni dove. Così ho sviluppato un'idea molto semplice: invece di donne per il programma di cucina, avrei chiesto ai servizi sociali di indirizzarci verso donne che fossero abili nel cucire, e fornendo loro il materiale, il modello e la catena di approvvigionamento le avremmo ingaggiate durante la quarantena. In pochi giorni abbiamo ricevuto i nomi delle nostre prime sarte e la campagna "Cucire Insieme" è stata lanciata. È stata una campagna di crowdfunding che ha coinvolto alla fine più di 300 donatori e impiegato più di 800 ore di lavoro. Era il primo progetto in assoluto di AIW e alla fine ha raccolto più di ventimila euro.
Finita la quarantena, tutti in cucina
La settimana in cui il lockdown è terminato, abbiamo dato il via al primo programma culinario al Centro Papa Francesco. Abbiamo assunto la nostra prima collaboratrice, la Chef formatrice Alessia, e nei mesi successivi abbiamo imparato di più riguardo le nostre tirocinanti, la loro cultura culinaria e come potevamo migliorare il nostro programma nel futuro.
Nel frattempo, abbiamo continuato a sviluppare il progetto di Roots. Abbiamo contattato il Comune di Modena per lo spazio e abbiamo trovato una location vuota già adibita a ristorante nello storico "Complesso San Paolo" (che, come il destino vuole, era originariamente una scuola per ragazze orfane). La città lo aveva messo a bando un paio di volte ma nessuno aveva mai reclamato lo spazio. Era perfetto.

A questo punto, l'unica cosa che mancava era il finanziamento. Entro la fine dell'anno, la nostra no-profit, che nel 2020 era stata finanziata esclusivamente attraverso il crowdfunding, stava iniziando a diversificarsi.
Avevamo vinto il primo bando, identificato diverse aziende disposte a sponsorizzare e offrire servizi pro-bono, ed era stato approvato un prestito per un'impresa sociale.
Inoltre, una domanda inoltrata quasi per sfizio, una sorta di tentativo, attraverso Instagram per un premio di attivismo sociale giovanile da parte del Major Group for Children and Youth delle Nazioni Unite ha avuto esito positivo: eravamo tra i finalisti selezionati e a gennaio, siamo stati nominati tra i vincitori per la replicabilità e la promessa di Roots.
Nel frattempo, anche la carriera di Jessica stava decollando. Era stata nominata Chef dell'ultimo progetto di Massimo Bottura, Casa Maria Luigia, che ha subito ottenuto il riconoscimento di "miglior brunch d'Italia" da 50 Best; e in primavera Jessica è stata nominata "Donna dell'anno" da Identità Golose, e "Donna chef dell'anno" da Le Guide dell'Espresso.

Fondare Roots
Nell'autunno del 2021, abbiamo firmato il contratto d'affitto e ci siamo tuffati a capofitto nella costruzione di un ristorante. La società di progettazione Politecnica aveva accettato di fornire servizi 100% pro-bono, e nelle settimane successive, ci sono state donate piastrelle (Del Conca), attrezzature da cucina (Electrolux Professional), illuminazione (Targetti) e molto altro.
Una presentazione online al Rotary Club Hickory negli Stati Uniti si è trasformata in una partnership con il Rotary Club Modena con l'assicurazione di una sovvenzione globale per finanziare un anno intero di formazione (per più di 16 donne) presso Roots. Con l'anno nuovo, abbiamo reclutato i primi membri dello staff (inclusa Mercy, diplomata nel precedente programma) e abbiamo selezionato il nostro secondo gruppo di tirocinanti, le donne che avrebbero aperto il ristorante con noi.
Il 14 febbraio, il lunedì dopo l'installazione della nostra cucina, è iniziato il nostro primo programma di formazione culinaria a tempo pieno presso la cucina di Roots, con quattro donne provenienti da Ghana, Tunisia, Camerun e Guinea, pronte a intraprendere questo nuovo viaggio con noi.
Nel corso delle successive settimane, hanno ampiamente partecipato allo sviluppo del menù con Jessica, decorando lo spazio con il nostro team, e formandosi con la Chef Silvia per affinare le tecniche professionali e la conoscenza della cucina.
Entro la fine del mese, era tempo di pianificare la nostra apertura.

Roots fiorisce...
Ora, ripensando al tumulto degli ultimi due anni, segnati da una pandemia globale, mi stupisco che quello che è iniziato con un incontro casuale tra due giovani donne provenienti da parti opposte del mondo, sia sbocciato in un vero e proprio ristorante sociale a Modena, unico nel suo genere.
Le idee innovative germogliano ogni giorno, soprattutto quando diversità di pensiero entrano in contatto, ma ci vuole una comunità di individui, giovani, organizzazioni, volontari, sindaci, consiglieri comunali, aziende, piccole imprese e dipendenti per creare il terreno fertile per la loro crescita.
Condivido il sentimento con il resto della mia squadra. Siamo migranti che ora chiamano Modena casa. Siamo orgogliosi di essere parte di questa grande comunità e di contribuire a questa stessa terra dove ora, le nostre radici sono salde.